Yorick Editore – Mauro Leonardi – “MANTOVANI”
Parte I
I
Siamo giunti verso la fine di luglio.
Piazzato con la sedia a sdraio nel balcone della cucina, che dà verso l’interno, aspetto speranzoso un refolo di vento che, insinuandosi fra le palazzine del residence, riesca a mitigare l’afa. Il TG1 delle venti ha fatto, già nei titoli, un’elencazione di tutte le calamità che al momento affliggono il nostro Bel Paese: l’estate più calda degli ultimi trent’anni con l’immancabile record di incendi in Sicilia, il costo del debito pubblico accumulato da uno Stato sull’orlo del fallimento, il tentativo di Di Pietro di rubare ai leghisti il primato della polemica becera nei confronti di Monti. Abbiamo tutti bisogno di vivere un presente eccezionale e, non potendo farlo nel bene, da qualche tempo a questa parte noi italiani ci crogioliamo nelle avversità. Prendendo per buona la profezia del Calendario dei Maja c’è spazio perché le cose da qui al 21 dicembre possano andare anche peggio.
Per quanto personalmente mi riguarda, la sventura che avverto più vicina è quella di non potere andare in pensione ancora per un bel numero di anni. E il fatto che la Fornero me l’abbia comunicato con le lacrime agli occhi non attenua il mio disappunto. Se tutto va bene se ne parlerà quando, a sessantacinque anni d’età, la voglia di lavorare mi sarà passata da almeno dieci. Si, perché la voglia mi è già finita da un pezzo, per l’esattezza da quando ho capito che dopo una carriera da enfant-prodige mi trovo costretto a guardarmi la sedia (per non dire di quella parte che ci poggio sopra) dagli attacchi dei colleghi di nuova generazione, quelli, che, piuttosto che perder tempo a studiare come ho fatto io, avendo capito come funzionano le cose, preferiscono coltivare le relazioni giuste per navigare in favore di vento in questa palude (non saprei come definirla altrimenti) che una volta era la mia Banca.
Mentre ascoltavo cose senza senso nella riunione di questo pomeriggio in ufficio, mi esercitavo a fare quattro conti: con gli stipendi spettanti ai sei partecipanti, fra cui il sottoscritto, le tre ore di riunione saranno costate alla banca non meno di duemila euro. Moltiplicando la cifra per tutte le riunioni del genere che si tengono ogni giorno nella nostra Direzione Generale viene fuori una cifra da jackpot al superenalotto. Un costo che, mettila come vuoi, in qualche modo finisce con il gravare sulla collettività. Tutto questo per un rituale inutile!
Perché inutile è presto detto.
La Direzione Marketing, di cui faccio parte come coordinatore del gruppo di lavoro che cura l’immagine esterna della Banca, è impegnata nel rifare il maquillage dopo certe speculazioni ai danni dei clienti impietosamente segnalate dalla stampa. La Direzione Generale, convintasi che non possiamo andare avanti, come finora abbiamo fatto, utilizzando gli spot televisivi per raccontare come siamo belli e come siamo bravi, giusto per evitare che ci ridano appresso, preme perché si punti sulla promozione di singoli servizi. L’idea geniale arrivata dall’alto è quella di una campagna mediatica volta a favorire l’acquisto della prima casa da parte di giovani coppie con la concessione di mutui a condizioni di favore.
Nella riunione che mi era toccato di coordinare al pomeriggio si era iniziato a discutere su una proposta messa nero su bianco da parte di un mio giovane collaboratore. Giovanni Mercadante, ufficialmente il numero tre del gruppo, è quello che a sentire le voci di corridoio, godendo del vento in poppa che spira dalla Direzione Generale, è candidato a sostituirmi alla guida del gruppo di lavoro. Ipotesi che comporterebbe, oltre alla destinazione ad altro incarico del sottoscritto, anche lo scavalcamento del numero due del gruppo, Francesco Schembri, il quale non sarà una cima ma un po’ di sale nella zucca se lo trova e, soprattutto, conosce un’arte oggi negletta che è quella di saper tacere quando non c’è nulla da dire.
Avevo eccepito, con la pazienza e la calma che il mio giovane collega probabilmente non merita, la pratica impossibilità per la Banca di mantenere la promessa di condizioni di particolare favore sui mutui dato che concederli è oggi antieconomico, e lo sarà ancora chissà per quanto tempo. Si tratterebbe di prestare denaro a tassi d’interesse inferiori rispetto a quelli oggi ottenibili dalla Banca investendo quello depositato dai risparmiatori in titoli di stato. Questo grazie al livello record raggiunto dallo spread fra i buoni del tesoro italiano e quelli tedeschi, un dato di cui oggi si discute non solo fra i banchieri ma anche in lavanderia o dal barbiere. Sarebbe, è vero, un’opera meritoria alla quale però la Banca – non parlo solo della nostra - non è vocata. La mia argomentazione, di un’ovvietà tale da far arrossire Monsignor de La Palice, era stata accolta dal collega rampante con un sorrisino. Questo bisogna concederglielo, Mercadante scemo non è, l’obiezione l’aveva certamente messa in conto e la risposta se l’era preparata a puntino.
”Massimo” – gli avevo consentito, al suo arrivo nel mio ufficio un anno fa, di darmi del tu e me n’ero subito pentito – “con i requisiti e le garanzie che chiederemo agli interessati, mutui ne daremo forse due o tre, ma faremo venire agli sportelli un bel po’ di gente. Magari compreranno altri servizi o depositeranno presso di noi i risparmi che non risulteranno bastevoli per l’acquisto della casa.”
Che altro c’è da aspettarsi da uno che ha un curriculum da venditore di fumo maturato presso aziende dove si è fermato mai più di due anni, giusto il tempo necessario per farsi sgamare? Avevo mostrato il mio dissenso ma con una certa cautela. Non posso ignorare che andare contro corrente proprio adesso potrebbe costarmi caro in occasione degli avanzamenti previsti per ottobre prossimo.
Non mi riempie di orgoglio professare questo realismo ma in questa “cosa” che la mia Banca è diventata ci dovrò pur campare, grazie appunto alla Fornero, altri sette o otto anni. Le remore di carattere etico che mi hanno sempre impedito di mettermi in concorrenza con quelli del genere di Giovanni Mercadante ho potuto finora esprimerle ma qualche “cartellino giallo” me l’hanno già fatto sventolare sotto il naso. Segnali inequivocabili: con le questioni di principio non devo eccedere, posso continuare a dire la mia ma a patto di non “rompere” troppo. Un accordo tacito che conviene anche a “loro”, almeno fino a quando, ma sempre più raramente per la verità, trovano utile mandarmi in giro per mostrare, nelle occasioni di contatto con soggetti esterni alla banca, una faccia più presentabile della loro.
Sarà per l’avanzare degli anni ma queste situazioni da un po’ di tempo a questa parte le trovo avvilenti, comincio ad avvertire un fastidio quasi fisico. E pensare che il dovermi trattenere al lavoro quest’estate in un periodo in cui avrei già dovuto essere in ferie non mi dispiace poi troppo.
I miei, mia moglie Claudia e i miei figli Giovanni e Tiziana, 18 e 16 anni rispettivamente, sono già dall’inizio del mese in villeggiatura a San Vito Lo Capo e vi si tratterranno fino alla prima settimana di agosto. La nostra villetta, che fa parte di un complesso condominiale a due passi dal lungomare, l’abbiamo comprata quindici anni fa, quando l’idea di tre o quattro settimane di vacanza a mare ancora mi allettava. Da qualche anno a questa parte, al contrario, non mi dispiace starmene da solo a casa a Palermo, lontano dalla confusione estiva di San Vito. Il pretesto degli impegni di lavoro mi giunge dunque a fagiolo.
Claudia mi conosce bene e sono certo che questa cosa l’abbia capita ma la sua insistenza per avermi con lei in vacanza è stata quest’anno, come dire, di maniera: a lei interessa soprattutto starsene otto ore al giorno sotto il sole, come una lucertola. A cambiare questa abitudine barbara non la convincono né i rischi di malattie della pelle né la constatazione delle rughe di cui si sta progressivamente coprendo nonostante le creme di cui si cosparge. La mia compagnia è un optional non necessario, tanto più che i ragazzi sono cresciuti abbastanza per organizzarsi da soli.
A invogliarmi a restare a Palermo ci sono quest’anno anche le Olimpiadi di Londa, che a San Vito potrei seguire soltanto su un piccolo schermo di 14 pollici, a condizione, fra l’altro, di riuscire a battere la concorrenza di Claudia che la sera, quando non ha il burraco con i vicini, difficilmente rinunzia ai suoi sceneggiati del tipo di “Un posto al Sole”. A San Vito, in conclusione, mi limito quest’estate ad andarci soltanto nei fine settimana.