Yorick Editore – Mauro Leonardi – “Il diario di Marco”
I
Il sequestro al Vittorio Alfieri
I.I
L’edificio che ospita il Liceo Classico Vittorio Alfieri in Via Parlatore č una costruzione rettangolare a due piani in stile anni trenta.
Una dozzina di aule per piano disposte sui lati lunghi dell’edificio che all’interno si affacciano su un lungo corridoio che al piano terra inizia dal portone. Ai lati del portone due colonne di marmo sormontate da un architrave al cui interno si legge l’anno di costruzione dell’edificio con la doppia indicazione in numeri arabi e numeri romani.
I mattoni di tufo dei muri esterni, scuriti dal tempo, conferiscono all’edificio quell’aria austera ben in linea con l’immagine voluta da chi nel ventennio fascista l’aveva costruito.
Tetro, quasi, con quelle grate di ferro battuto che chiudono le finestre collocate al piano terra a tre metri dal suolo e che danno l’idea di una prigione, quasi ad avvertire gli ospiti dell’impossibilitŕ di sfuggire alle logiche del regime e che trenta anni dopo avevano suggerito ai sessantottini l’idea che fossero lě a impedire l’ingresso del pensiero libero.
Il cielo plumbeo e quattro gocce di pioggia, giusto per far capire che l’inverno č alle porte, accentuano il grigiore della scena.
Quando il TG delle quindici di quel dodici ottobre comunica la notizia, l’uomo č lě dentro, nell’aula della quarta B al piano terra, da poco piů di un’ora, insieme a due alunni. Rimasti, i tre, i soli presenti nell’edificio.
All’esterno quattro volanti della Polizia con il fascio di luce lampeggiante sul tetto, una delle quali messa di traverso a chiudere la strada al traffico. Una decina di agenti con giubbotto antiproiettile a circondare l’edificio e due sul tetto, sembrano tutti in attesa che accada qualcosa o che qualcuno decida che fare. C’č anche un’ambulanza appena dentro il recinto di transenne.
Il Commissario di Polizia, un quarantenne dal forte accento napoletano, intervistato da un giornalista affiancato da un operatore TV della RAI, fornisce una versione burocratica del fatto, parla come se stesse compilando un verbale.
L’uomo, che č armato, si sarebbe introdotto nell’edificio poco prima delle tredici, l’ora in cui il sabato terminano le lezioni in tutta la scuola.
Chiuso dentro un’aula, quella della quarta B, dove sembra essersi introdotto eludendo l’attenzione del custode, ha atteso che la scuola si svuotasse e ha fatto uscire tutti i presenti in classe compreso il docente, trattenendo soltanto due studenti uno dei quali č un handicappato in carrozzina. Nulla si conosce sulle intenzioni del sequestratore che, perň, sembra essere stato identificato sulla base di quanto riferito dai ragazzi liberati. Si tratterebbe del padre di un ex alunno della scuola.
L’intervistatore deve guadagnarsi da vivere – quando gli capiterŕ un’altra occasione per apparire nel TG nazionale? – e il Commissario mostra di capirlo senza perň lasciare quel fare burocratico.
“Avete stabilito un contatto?”
“L’uomo non ha preso ancora nessuna iniziativa e i cellulari dei due alunni sequestrati sono spenti.”.
“In quale parte dell’edificio si trova?”
“L’aula č nella parte centrale del corridoio del piano terra”.
“Come l’avete localizzato?”
“Non l’abbiamo localizzato, uno degli alunni č in carrozzina ed č quindi ipotizzabile che il sequestratore non si sposti dal locale dove č ubicata la classe degli alunni sequestrati.”.
“Cosa pensate di fare?”
Questa domanda infastidisce il Commissario che, dopo qualche esitazione, giusto per far capire che ha le mani legate dalle regole, chiarisce:
“Attendiamo l’arrivo del Sostituto Procuratore della Repubblica, ha giŕ avvertito che sarŕ lui a cercare di stabilire un contatto con il sequestratore. Al momento nessuna azione č programmata”.
“E quell’elicottero?”
“Si era pensato di osservare cosa avvenisse dentro la scuola attraverso le finestre alte, ma l’elicottero non puň abbassarsi piů di tanto per via dei fili della luce”.
“E quegli agenti sul tetto?”
Ora il Commissario alza gli occhi al cielo, come a dire “Quante cose vuole sapere…”.
“Ce li ha deposti l’elicottero. Si era pensato di far calare qualcuno dalle finestre del primo piano, ma con i tetti spioventi la cosa non č agevole, in ogni caso sarŕ il Sostituto Procuratore ad autorizzare un’azione del genere”.
“Ma avete tentato di vedere che succede facendo arrampicare qualcuno fino all’altezza delle finestre del piano terra?”
Il Commissario adesso lo fissa negli occhi, come a dire “Vuoi vedere che questo ci vuole rubare il mestiere?”. Scrolla le spalle.
“ E’ escluso perché l’uomo se ne accorgerebbe subito, un rischio inutile”.
Ben piů loquace uno dei bidelli della scuola, che il cronista individua in un capannello di persone che, tenute a distanza dalla Polizia, si trattiene appena al di fuori dell’area transennata. E’ quello uscito per ultimo dall’edificio, prima che si avesse contezza del sequestro. Sembra ansioso di recitare una sua parte, tanto che l’intervistatore, dopo aver cercato di ottenere risposte chiare e stringate, prova lui stesso a riassumere ciň che ha sentito dall’uomo.
Il bidello aveva aperto la porta dell’aula, sollecitato da alcuni genitori
in attesa che i figli venissero fuori, spazientiti per il ritardo. E si era trovato di fronte al sequestratore, un uomo, che non aveva mai visto prima di allora, con la pistola puntata contro, riuscendo solo a captare il messaggio confuso che l’uomo, per il suo tramite aveva inteso trasmettere all’esterno: “ Devo solo capire chi ha ucciso mio figlio, poi sono tutti liberi”.
Il significato della frase lo chiarisce all’autore del servizio uno degli alunni liberati dal sequestratore che invece aveva riconosciuto l’uomo: il padre di un alunno di quella classe che al termine dell’anno scolastico precedente si era suicidato.
1.2
Appena il tempo di mandare in onda le interviste registrate qualche minuto prima. Poi, in diretta l’epilogo: il portone della scuola si apre ed esce un giovane che spinge con una mano la carrozzina dentro la quale sta l’handicappato e che mostra nel pugno dell’altra mano, stesa in alto, una pistola. Ha vistose macchie di sangue sulla camicia, tutto lascia pensare che abbia avuto con il sequestratore una colluttazione e che sia riuscito a disarmarlo. Un accenno di applauso proveniente al di la delle transenne da poche decine di curiosi, si spegne per l’accoglienza infastidita dell’eroe.
Si vedono due agenti lanciarsi dentro e pochi secondi dopo tornare fuori con l’uomo sotto braccio, poi caricarlo in una delle volanti che si allontana velocemente. Altri agenti entrano nella scuola.
Il servizio in televisione termina con il tentativo dell’autore di avvicinare il giovane eroe ma quello, tutt’altro che entusiasta dell’attenzione che gli č riservata, scosta con un gesto brusco il microfono che l’altro gli ha messo sotto il naso, facendo il gesto di mandarlo a quel paese.
Lo spettacolo č finito, tutti a casa.
1.3
L’antefatto č ricostruito in un lungo articolo del giornale locale, “La Voce della Cittŕ”, al mattino del giorno seguente, sulla base di quanto riferito da tutti quelli che a vario titolo erano stati coinvolti nell’episodio.
Il sequestratore, tale Lorenzo Giangrande, quarantadue anni e un passato irreprensibile, era il padre del giovane Marco, un alunno della scuola che aveva frequentato la terza B l’anno precedente e che, pochi giorni dopo la fine dell’anno scolastico, si era tolta la vita.
Il gesto del giovane era stato collegato con alcuni episodi di bullismo di cui lo stesso era stato vittima durante l’anno scolastico. Almeno questa era stata la convinzione del padre, il quale, forse anche prendendo spunto dall’interesse mostrato per il caso da un giovane giornalista ex alunno della scuola, aveva indagato, pare senza alcuna conclusione, per chiarire i fatti e individuare i responsabili. Sulla vicenda si erano svolte anche delle indagini di Polizia Giudiziaria, al termine delle quali la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo non aveva perň ritenuto di formulare accuse nei confronti di alcuno.
Il padre del ragazzo nei mesi successivi aveva lasciato la casa in cittŕ per andare a vivere da solo in campagna, a Trabia, separandosi, di fatto, dalla moglie e da un secondo figlio. Lo stesso era stato visto piů di una volta, all’inizio del nuovo anno scolastico, fuori dalla scuola, dove si recava per incontrare quell’altro figlio, anche lui studente nello stesso liceo. In quelle occasioni era apparso mal vestito e con la barba incolta.
La cosa aveva creato qualche turbamento fra gli ex compagni di Marco e, pochi giorni dopo l’inizio della scuola, su sollecitazione di alcuni genitori, il fratello di Marco era stato trasferito presso una filiale decentrata della scuola.
Il padre non si era piů visto nei paraggi salvo proprio il sabato precedente quello del sequestro, riconosciuto dagli ex compagni di Marco, in quell’occasione ben vestito e ordinato nell’aspetto.
Non č chiaro come, quel sabato del sequestro, l’interessato sia riuscito a entrare a scuola, probabilmente scambiato dal custode per uno di quei genitori giunti poco prima della fine delle lezioni per parlare con i professori.
Da quanto riferito dagli alunni, l’uomo si era introdotto in classe pochi minuti prima della fine dell’ultima ora di lezione e, mostrando una pistola in pugno, aveva intimato ai presenti, una dozzina in quel momento compreso il docente, di astenersi da qualsiasi movimento e di consegnargli i cellulari spenti. Aveva atteso che la scuola si svuotasse e aveva poi imposto al custode che si era affacciato alla porta di lasciare anche lui l’edificio avvertendo all’esterno che nessuno entrasse.
Aveva quindi chiesto al professore che chiamasse per nome, scandendo l’elenco dal registro, uno dopo l’altro gli alunni, indicandoglieli allo scopo evidente di identificarne alcuni. Era apparso contrariato quando si era reso conto che quasi la metŕ della classe era assente per una gita d’istruzione. Particolarmente nervoso, aveva fatto ripetere la chiamata una seconda volta, fermando l’attenzione su alcuni dei nomi citati dal Professore.
Aveva quindi consentito l’uscita dalla scuola del Professore e di tutti gli alunni tranne due che aveva individuato. Uno di questi, secondo voci raccolte fra gli alunni della scuola, era quello a cui si attribuivano, assieme a un compagno in quel momento assente, gli atti di bullismo; l’altro era un handicappato costretto a deambulare in carrozzina, il quale era stato compagno di studi e anche amico di Marco.
Nulla si sapeva di ciň che era poi avvenuto dentro la scuola fino al momento della conclusione del sequestro. I due ragazzi, protetti dagli agenti, erano stati invitati a riferire sull’accaduto soltanto agli inquirenti.