“Il 30 settembre di un anno che preferisco ritenere ormai
perso nelle caligini della memoria, compivo 5 anni. Quel giorno mi regalarono un giocattolo per quei tempi favoloso: un panciuto tacchino verdazzurro di latta pirografata con tutte le penne disegnate a una a una il quale, se gli davo “la corda” infilando la chiavetta nell’apposito buco, procedeva tronfio e impettito sulle due zampe mentre poggiava le ali per terra come “L’albatro” di Baudelaire; ogni tre o quattro passi si fermava e la penna della coda si moltiplicava formando la ruota. Una bellezza che mi incantava: tanto che in un momento di distrazione familiare presi a smontarlo per sapere cosa di prodigioso nascondesse nelle sue viscere di ferro. Indignato per la profanazione, il tacchino non camminň piů e non fece piů la ruota. Per punizione il giorno dopo mi mandarono a scuola.”
Dal racconto “Il Tacchino di latta”.
In copertina: “Ritorno” di Simonetta Palamŕ.